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“L’unico pizzo che piace ai siciliani” è lo slogan del primo manifesto elettorale di Nello Musumeci. L’immagine raffigura la sagoma e il pizzo di Musumeci, facendo leva sul doppio significato della parola “pizzo”. L’obiettivo è di evocare il programma del leader che vuole puntare sulla legalità e la lotta alla corruzione.
L’ultima esperienza istituzionale di Musumeci come Presidente della Commissione regionale antimafia all’Assemblea Regionale Siciliana si riflette chiaramente nella scelta di questo tema narrativo della campagna elettorale, ma con una sottolineatura che evidenzia la netta differenza dai professionisti dell’antimafia che hanno costruito carriere professionali e politiche su una presunta superiorità morale che, i fatti, hanno dimostrato essere tutt’altro che reale.
Leggo, dunque, un richiamo ad un impegno contro la criminalità organizzata che sia prima educativo e civico, che politico. Un richiamo alle coscienze degli elettori prima che uno slogan come i tanti ripetuti nei decenni trascorsi. Per chi volesse approfondire il filone consiglio Il bifrontismo del P.C.I. di Franco Nicastro.
Non so se volutamente o meno la campagna si ispira, nel doppio senso della parola “pizzo” ad una di AddioPizzo di qualche anno addietro: “L’unico pizzo che vogliamo”.
Condivido la tua riflessione
Musumeci per caratura politica e morale può essere realmente una concreat svolta per la Sicilia.
Il messaggio che sta lanciando è chiaro, e lui ha la fermezza per portarlo avanti con la massima intransigenza.
Voglio riportare di seguito una visione che agli inizi del 1900 era stata scritta nero su bianco da uno dei più grandi politici della nostra terra. Sturzo denuncia «la mafia, che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti. Oramai il dubbio, la diffidenza, la tristezza, l’abbandono invade l’animo dei buoni, e si conclude per disperare. (…) È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria, la immoralità trionfante nel governo». È sintomatico l’accenno all’immoralità e alla corruzione che prelude alla principale battaglia che Sturzo si propose: la moralizzazione della vita pubblica.
Quest’analisi lucida e spietata della mafia egli la porta in scena un mese dopo il 23 febbraio 1900 con un dramma in cinque atti intitolato La mafia. Da questo dramma si possono ricavare alcune manifestazioni del fenomeno mafioso il cui scopo è il lucro e il cui mezzo principale è il ricatto. In esso s’inserisce il potere politico che chiedendo alla mafia dei servizi li ricompensa attraverso favori e atti illeciti. La regola indispensabile per questo complesso intreccio d’interessi è l’omertà che lega inevitabilmente i vari livelli di potere istituzionale, politico, economico, tra cui la mafia finisce per assumere un ruolo di mediazione e di controllo complessivo della situazione. Tutto questo non lascia spazio di recupero morale e di ribellione alla logica mafiosa tranne che in qualche eroe solitario. La denunzia di Sturzo aveva lo scopo di educare il popolo per formarne la coscienza a una cultura della legalità e della moralità, che erano assenti o sopite.